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Si persiste

Il grande inganno

 

15 gennaio 2006

 

 

Le relazioni che intercorrono in un piano dell’esistenza più sottile rispetto a quello umano riguardano anche quello umano. E viceversa. Viceversa perché tutto ciò che avviene nel piano umano è una ripercussione di quello eterico e pertanto a sua volta provoca reazioni sottili proprio in quello stesso piano da cui derivano.

Avere coscienza di ciò apre una porta di comunicazione. Da la possibilità di stabilire un contatto continuativo con chi si è in una dimensione dove la morte non esiste e si persiste anche quando ci si proietta sulla Terra attraverso una incarnazione.

 

Continuare a credere che venendo in Terra (incarnandosi dunque) la propria parte eterica abbandoni quello stato, perché la parte fisica la vincola in una condizione di sofferenza e prigionia, è pura illusione. È perpetuare una credenza basata sul non rapporto diretto (su chi si è in Terra vivi da uomini e chi si è dove si risiede dopo la morte fisica) solo perché non si concepisce che si è già “la” anche durante la vita fisica.

Sfatare questa credenza è un po’ come distruggere un simulacro sacro, qualcosa che sarebbe meglio restasse sempre così come è (e pertanto così come si crede) per evitare di doversi assumere responsabilità connesse ad un diverso tipo di vita, quello che riguarda il sé che si è oltre la sola condizione materiale. In pratica quel che si pensa si diventi dopo che il corpo muore.

 

L’esperienza attraverso il corpo (e quindi la conseguente animazione dello stesso) ha una mira ben precisa: provare fisicamente ciò che è impossibile verificare in uno stato in cui la fisicità non è ammessa; per rendersi conto di come sia possibile accrescersi di capacità connesse proprio alla fisicità quando invece sembra che ci si vada ad imprigionare solo perché si perde la capacità di essere presenti contemporaneamente in modo vigile sia nel mondo fisico materiale sia sul piano eterico.

E questo per dare modo alla coscienza di accrescersi di esperienze atte a significare una presenza, la propria,  attiva in un ambito dove un altro tipo di coscienza deve svolgere un suo cammino per concepire che la vita è una, ma con risvolti diversi che riguardano anche modi di percepire funzionali al mondo in cui si opera per espandersi in consapevolezza.

 

Dire di essere contemporaneamente vivi in più piani dell’esistenza implica esserlo oppure semplicemente supporlo. Si suppone quando si pensa che l’incarnazione faccia abbandonare una data dimensione di provenienza, si è quando invece si ha piena consapevolezza che è così perché lo si sperimenta direttamente e senza possibilità alcuna di dubbi o equivoci.

 

Certezza comunque è e deve essere prova provata a se stessi e per se stessi; le prove e i riscontri altrui o sono conferme se si è nella capacità, oppure sono semplice attaccamento a qualcosa di illusorio perché non si è nella capacità di svolgere un proprio ben preciso compito: concepire che non si muore quando si è nella condizione dove la morte sembra dettar legge.

 

Esistono diversi piani di coscienza e gli equivoci sorgono ed alimentano teorie quando si pensa che esista il di qua e l’aldilà e non ci si prende la briga della verifica in proprio di possibilità diverse che la realtà esprime come suo stato e modo di essere.

 

Rinunciare a qualcosa equivale anche ad accettare uno stato che non prevede quella possibilità. E questo succede proprio all’uomo quando, invece di considerare che la vita sorga da dentro di sé (e quindi sua fin dalla sua nascita in Terra), attende che lo diventi in funzione della morte. Oltretutto attraverso la semplice speranza che così possa essere poiché privo della certezza che veramente così è.

 

 

 

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