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Tempo e coscienza

4 aprile 2006

 

 

Noi viviamo interpretando il tempo in maniera lineare e consecutiva. Il passato è ciò che è stato ed il futuro quel che sarà.

Se però prendiamo in considerazione il momento presente, questo ha già in sé ciò che il passato ha prodotto mentre si sta proiettando verso il futuro.

In una visione a ritroso rispetto al presente è evidente che l’oggi racchiude in sé ciò che è stato e questo permette la possibilità del riesame del contenuto; del passato. Cosa che comporta la presenza (intesa come attenzione) sia nel momento presente sia dove si indirizza l’indagine retrospettiva.

Come in un film quindi si rivedono scene relative ad un tempo ormai andato mentre contemporaneamente si è nel proprio momento, nel proprio presente.

Questo da la possibilità di una riflessione che riguarda e coinvolge tutti perché ognuno ha un suo passato. Riflessione che comporta l’accettazione che in questo momento si può essere presenti contemporaneamente in più dimensioni se se ne ha coscienza.

 

Saper rivisitare il passato non è ricordo ma osservazione neutrale di ciò che è stato, esente da emotività e coinvolgimento.

Per riuscire bisogna adattare se stessi ad un modo di essere esente da proiezioni. Nel senso che la consapevolezza deve essere in linea con l’azione e non distribuita in tante parti. Cosa che siccome avviene sempre non sviluppa mai uno stato d’essere esente da dualità ed emozioni.

 

Lo stato emozionale fermo, la mancanza di emozioni dunque, si ottiene rendendosi conto che non è importante rivivere ciò che ha fatto gioire, soffrire o semplicemente vivere; è sufficiente osservare.

 

Il che comporta difficoltà da superare, ma solo di tipo mentale. Non serve a nulla imporselo, è sufficiente comprendere che è possibile; agendo dopo di conseguenza.

 

Il presente ora inizia a funzionare solo quando si attiva il processo che ne consente l’esecuzione. Sembra assurdo ma è così. Se mai ci si immette nella soluzione del “problema” lo stesso rimarrà sempre inevaso.

Del resto solo provando è possibile sperimentare e la sperimentazione è l’unica prova che offre risultati tangibili alla propria coscienza.

 

Ecco appunto la coscienza, la grande amica nemica che rende tutto semplice o impossibile.

Ma finanche la coscienza è una attività che, pur sembrando possedere il predominio sulla azione, si limita ad incamerare i risultati che qualcun altro ha prodotto.

 

Questo qualcuno ha un nome ben preciso, l’anima, il sé che si è in una dimensione tempo spaziale che può essere identificabile come futuro. Come se il sé che si è ora, acquisendo sempre più coscienza attraverso le esperienze maturate nel tempo, sarà nel futuro un sé diverso e più maturo rispetto a ciò che ora ognuno di noi può verificare di essere.

 

Questo sé non è ipotetico, è semplicemente vivo in una dimensione definibile futuro perché non si è nella capacità di essere ora ciò che si è in uno stadio della esistenza dove si è spettatori sia dell’oggi, sia del passato rispetto all’oggi, sia del futuro rispetto ad oggi ma che è passato rispetto alla dimensione in cui si trova chi sta osservando; rispetto all’anima.

 

Il punto comunque non è spiegarsi l’anima, ma vedere se è possibile essere presenti con coscienza nella dimensione dove l’anima risiede e vive la sua realtà che è necessariamente diversa se in sé racchiude e contempla il tempo che determina sia il proprio passato quanto il futuro.

Tempo esprimibile come continuità lineare o come dimensioni che racchidono cicli di linearità che riassorbono il passato in un presente rivisitabile; tempo rivisitabile per chi ha tale capacità, ma contemporaneamente tempo reale, presente e vivo per chi tale tempo vive imprimendo la propria impronta.

Come dire che il tempo relativo è realtà vera e tangibile per chi la vive ma è anche contemporaneamente solo una parte di un ciclo per chi esplorando tale relatività non si lascia coinvolgere restando irretito in una maglia energetica che fa perdere la condizione che consente di poter spaziare dove la fisicità non ha visione, accesso e capacità.

 

Ciò che rende evanescente l’anima nascondendola alla sensibilità di chi, per conoscerla, deve come minimo volerlo fare è la coscienza; la propria incapacità ad operare dove per esserci è sufficiente volerlo. Perché si pensa che l’anima si trovi in un luogo dimensione completamente diverso rispetto a dove si è ora proiettando così nel tempo ciò che per forza deve poi essere reintegrato nella coscienza.

 

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