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Lo scopo

18 ottobre 2007




Concepire il modo in cui relazionarsi con il proprio essere superiore che dimora ad un livello più profondo della esistenza è lo scopo della vita in terra. Perché da qui, da questa relazione, viene fuori una gradualità che ha come obiettivo la identificazione da parte dell'uomo nel suo essere immortale oltrepassando di fatto morte ed oblio.

La morte, tappa della vita, ha una caratteristica molto importante, da considerare attentamente per capire il meccanismo che regola l'apertura di un condotto attraverso il quale l'essenza passa a “miglior vita”. Parlare di essenza e non di coscienza ha un suo significato, anche questo da valutare attentamente par capire che spostandosi di dimensione cambia il modo di essere che non è più saldamente ancorato alla fisicità. L'essenza infatti, ciò che permane quando la morte sopraggiunge a far valere i suoi diritti, è cosa diversa dalla coscienza, organo sottile questo (la coscienza) attraverso il quale si vaglia la vita in rapporto alle esperienze ed al modo di concepire. La coscienza in fondo è un riesame del vissuto e può avvenire più o meno a ridosso della esperienza stessa a seconda di come ci si pone nei confronti degli altri e di se stessi.

Ecco, appena si inizia a concepire se stessi, che c'è un sé che valuta e che trae il succo di ogni esperienza, si è sulla via per capire e di seguito concepire il valore ed il significato della essenza. Essenza in quanto sviluppo della vita attraverso un modo di essere per considerare aspetti che riguardano la personalità ed il modo in cui interpreta la vita quando i valori hanno come fine ultimo la morte; la separazione dagli stessi dovendosi limitare ad ammettere che l'oltre, l'oltre morte, potrebbe solo essere frutto di fantasia o inconscio desiderio di sopravvivenza non avallato da prove concrete definibili realtà. A meno di non potere constatare individualmente che oltre la morte c'è vita sperimentandolo quando si è ancora vivi nella carne; così che resti impressa nella memoria quella realtà, diversa da quella fisica, in cui l'essenza (che lì si trasferisce) sviluppa altra coscienza. Una coscienza che, non legata ai vincoli fisici le consente di accedere ad un patrimonio comune e collettivo utile a migliorare il senso della vita a se stessi ed agli altri; sia in funzione di questo tipo di esperienza, sia in merito ad una trasformazione fisica possibile per acquisite nuove capacità (frutto della esperienza diretta che consente di oltrepassare la barriera, definibile morte, che separa la vita fisica dall'oltre).

Relazionarsi col proprio essere superiore ed immortale è un passaggio di stato in cui si diventa vigili, perché svegli, in una realtà più profonda rispetto a quella fisica pur restando nella fisicità per adempiere a compiti inerenti un migliore utilizzo delle risorse umane in quanto potenzialità da esaltare. Per farlo, per relazionarsi, occorre innanzitutto capire che si intraprende un percorso che porta ad affrontare la morte guardandola in faccia. E cioè dovendosi capacitare che per essere vivi in una realtà più profonda (dove si risiede oltre la morte fisica in quanto essenza ma dove risiede già chi si è a tale profondità dell'esistenza e che ha determinato l'esperienza nella carne come uomo) non lo si può immaginare ma sperimentare.

Guardare in faccia la morte vuol dire trovarsi nel momento in cui in maniera consapevole si rinuncia ad essere per essere chi non si conosce ancora di essere perché realtà non ancora vissuta in stato di vigilità.
Rinunciare ad essere non è un modo di dire e neppure una metafora. Ma non si tratta di morire casomai di nascere; di rinascere in Terra superando la morte. Spostando il proprio baricentro energetico dove la morte non ha motivo di esistere ed attivando di fatto ciò che consente di permanere in questo stato. Attivando la ghiandola che rende vivi oltre la morte così che avvenga la trasformazione nel fisico e nell'intelletto. Per concepire e realizzare ciò che da sintesi e produce essenza.



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