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Trascendenza

9 febbraio 2007

 


Ci si rivolge alla trascendenza quando si vuole superare una barriera reputata invisibile ed oltre la quale non sono sufficienti gli attributi di cui si dispone. Ci si rivolge al trascendente quando c'è il desiderio di volere appurare ciò che sta oltre la propria normalità e o quando vi si cerca rifugio per sfuggire ad una realtà che non soddisfa. Oppure quando il desiderio del divino è così forte da volervisi dedicare anima e corpo, così da potersi fondere nel suo abbraccio iniziando proprio con la trascendenza; col voler trascendere l'umano per realizzarsi nel divino. O più semplicemente ci si rivolge alla trascendenza in funzione della morte, così da poter concepire e forse appurare la reale esistenza di ciò che oltre il limite terreno consente ancora di essere in vita.

La trascendenza porta verso l'ignoto; apre una porta verso una realtà che solo se constatata diventa tale. E cioè diventa realtà solo se si appura che ciò che le si attribuisce non è pura fantasia o bisogno di darsi risposte consolatorie o di speranza; senza però poterlo verificare.

Ma se la trascendenza può essere una porta che si apre, bisogna anche sapere entrare in un mondo che se c'è appare. Appare concretamente a chi evita di rinunciare alla sua fisicità a favore di una trascendenza che proietta dove può solo esserci, eventualmente, una visione e nient'altro. Appare a chi, qui ed ora, non perde il contatto col suo essere fisico che è, qui ed ora, e che in quanto uomo può (senza trascendere nulla, senza quindi dover trascendere se stesso abbandonando di conseguenza il sé fisico che è qui ed ora) accedere a tale realtà se riesce a ricongiungersi da vivo in Terra con la sua parte viva ed agente proprio in quella realtà che la trascendenza permetterebbe (nel migliore dei casi) di visitare soltanto.

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