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Operatività

17 aprile 2008



Definire con chiarezza il proprio ruolo con il conseguente lavoro da svolgere è quantomai opportuno. Si tratta di entrare nell'operatività in maniera concreta ed evidente, cosa questa che per l'appunto riguarda il proprio ruolo nell'attraversamento di un confine molto sottile che l'umanità sta per fare e deve compiere.
Attraversare vuol dire portarsi oltre, superare in questo caso una barriera energetica invisibile che toglie potere all'uomo perché lo relega nel suo solo ambito fisico condizionandolo in tal senso.
La condizione umana può ben essere ampliata purché semplificata nella struttura rendendola capace di movimenti impensabili a causa del blocco imposta dalla fisicità. Fisicità che è poi energia che la coscienza condiziona perché lo crede necessario. Tutto il processo biologico è tale perché la coscienza condiziona ciò che la fisicità in generale esprime. O che può esprimere se rendendosene conto si arriva alla determinazione di volere sperimentare la vita in funzione delle possibilità che può offrire un corpo diverso reso tale dalla coscienza. E qui sta il passaggio.
Se la coscienza non lo crede possibile si scontra con la barriera energetica che glielo impedisce a guisa di gabbia o prigione. La barriera cade in automatico se la coscienza trova in sé la determinazione di volerla attraversare e lo fa.
In pratica però sia che la barriera cada, sia che la si superi si è oltre. Anche se è corretto impostare il discorso sul superamento non soltanto perché da più il senso dell'attraversamento, ma perché in effetti è oltrepassare fisicamente un confine che immette in un altro tipo di “fisicità”. In un altro corpo di cui non si ha coscienza e pertanto capacità.


Questo attraversamento è un passaggio delicato, molto delicato; visto come via di fuga è funzionale ad un pericolo da cui scappare, visto come conseguenza ad un cammino che ha condotto fin lì genera uno stato d'animo diverso. E se è pur vero che in entrambi i casi si passa, dove si arriva si è con stati d'animo diversi. Un fatto di coscienza che sviluppa capacità.
Tra sapere di essere e doverlo scoprire dopo (per dovere recuperare la nostalgia di ciò che si è abbandonato volontariamente mentre interiormente se ne ha bisogno) non è la stessa cosa. Ciò produce un periodo di sofferenza psicologica che condiziona l'adattamento nella nuova realtà.


Ora, se il punto è attraversare o meno questa barriera per libera scelta (personale ma non vincolata a doverlo fare per forza) il problema non si pone nemmeno. Se tale passaggio è una necessità imposta per un adeguamento migliorativo della specie ciò vuol dire non potersi esimere dal farlo. La condizione generale impone ciò che prima era una semplice proposta a farlo.


Da qui il lavoro ed il proprio ruolo che non possono essere tali se prima non si realizza la condizione che li rende possibili: dover attraversar la barriera per, una volta acquisita capacità, “tornare indietro” a suggerire come fare. E non è un lavoro da poco, così come non è poca cosa dover realizzare ciò in cui si crede ma che non da capacità se prima non si dimostra a se stessi di esserne capaci.
E la capacità arriva osando. Provando cioè a verificare se è possibile essere contemporaneamente sia carne sia altro per (informando la carne che non c'è l'abbandono che interpreta come morte) essere nella condizione di adoperare appieno quella parte di sé che resta inattiva perché non richiamata nella realtà dove si è vigili così da costituire una unità diversa (rispetto a prima) e con requisiti diversi.


Fare il passaggio in maniera volontaria dipende sia dall'osare sia dalla mancanza di presunzione nel pensare di esserne capaci senza considerare (richiedendone l'intervento) quella parte di sé che, abilitata, è in attesa solo di comparire.
Ma questo vuol dire arrendersi, ammettere la propria incapacità che sembrerebbe una cosa diversa dall'osare. Ed invece occorre molto coraggio ad attraversare una barriera che, “portando di là”, nell'ignoto, si potrebbe ritenere un pericolo per la propria individualità. Potrebbe quasi sembrare un volersi proiettare volontariamente dove magari proprio lì si entra in una prigione perché impossibilitati nel ritorno (ammesso sempre che si riesca ad entrare).


Così, se tali timori possono essere reali in chi è in un cammino che porta a considerare questi aspetti, ancor di più (ed anzi amplificati) lo possono essere per chi incapace si ritrova a doverlo fare per forza.
Ma osare essere se stessi d'altronde non consente compromessi: o si diventa o si resta. Se si resta chi si è ancora ora non si può essere nella condizione di aiutare gli altri non essendo riusciti neppure ad aiutare se stessi.