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Prendere e dare

27 aprile 2008



Prendere e dare. Si può prendere, purché si dia. Questa è l'ottica della nuova era. Trattenere per sé non è più possibile, nemmeno mascherandolo in modo che possa sembrare riserva da dopo poter elargire agli altri. Finisce l'era del possesso e la coscienza, divenendo dativa, non può che adeguasi alle esigenze collettive che la pongono al servizio di un sistema che prevede benessere ed eguaglianza tra uomini e popoli. Crolla il sistema basato sul potere ed in automatico viene salvaguardato l'uomo, chiunque esso sia.


Si tratta però di capire cosa succede, dove si va e come funziona.
Prendere tali affermazioni volendole applicare all'attuale mondo civilizzato non è soltanto utopistico ma anche illogico. Si andrebbe ad alimentare il sistema stesso per poterlo cambiare (eventualmente) in tempi lunghi, lasciando però inalterate le coscienze.
Il punto centrale quindi è la coscienza che modificandosi permette il cambiamento; ed esprimendosi lo attua. Una coscienza dativa è al servizio della collettività in modo naturale e spontaneo. Anzi, non si preoccupa nemmeno che il suo operato possa o debba giovare agli altri, agisce per come le è consono, in modo spontaneamente dativo.


Una coscienza diventa dativa non perché lo vuole, perché una trasformazione la rende tale. La volontà non è sufficiente perché, dovendola usare continuamente per restare centrati sulle proprie decisioni ed intenzioni di datività, si forza la (propria) struttura ad assecondare quel che non le è connaturale con il rischio del crollo nel momento in cui si dovesse verificare qualcosa verso cui si pensa di non poter dire no.
Non si tratta quindi di esercitare nessuno sforzo ma di agire essendo nella condizione ideale per poterlo fare; essendo al servizio della collettività. Senza dover accumulare nulla nemmeno da parte di chi ha compiti delicati, tutto ciò di cui si ha bisogno viene generato all'istante nel nuovo stato d'essere. Cosa certamente illogica per una coscienza abituata al possesso, a voler trattenere per in qualche modo trarne piacere, cosa invece del tutto naturale per chi nell'azione ripone il suo stato in modo completo poiché ciò che conta è l'esito e non l'intenzione.
Si potrebbe obiettare che non c'è esito senza un'intenzione che lo ipotizza e questo può essere vero, il punto però è non cristallizzarsi nell'intenzione ma seguire il flusso che porta spontaneamente ad agire perché tale è il compito.


Qui potrebbero subentrare dubbi ed interpretazioni relative ad un eventuale esercizio di potere occulto sulle masse costringendole ad agire senza chiedersi il perché, ma in questo modo non si terrebbe conto di chi si è diventati quando si parla di coscienza di datività; e quali siano le esigenze di tale coscienza.
Non si può ipotizzare d'essere diventi dativi come stato d'essere e continuare a pensare come uomini che hanno bisogno di tutto per sopravvivere. Si deve considerare cos'è l'uomo nuovo, quando lo diventa, e quale è il suo ruolo nella dimensione in cui è tale. In questa diversità si trova la base che permette di comprendere.
Se non si capisce bene chi si diventa non si possono concepire né ruolo né stato d'essere.


Il proprio ruolo non è più prettamente fisico, è anzi proiettato verso la coscienza, verso l'altrui coscienza per renderla edotta delle sue grandi possibilità. Per dare modo all'uomo di accedere in un mondo nuovo che è dentro di lui e che è pronto ad emergere; che sta emergendo a prescindere dalla volontà umana e che per questo è opportuno acquisirne coscienza.
Coscienza e capacità diventano requisiti indispensabili per non restare fuori dal flusso nuovo che alimenta e regola la vita sulla Terra.