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Tranquillità

18 giugn 2008



La tranquillità dipende dal rapporto che si ha con se stessi. Se ci si conosce e quindi si sa chi c'è dentro di sé (poiché si è perennemente connessi col proprio essere profondo che vive dove la vita svolge ruoli e funzioni diverse in quanto organizzative e preparatorie per quella umana) si è in sintonia col compito da svolgere; venendo così meno l'ansia dell'errore. Un po' come ad ogni bivio sapere la strada da percorrere. Cosa possibile quando la propria libera scelta (in quanto uomini) è di volersi identificare nell'azione che l'anima intende realizzare perché gli intenti (tra uomo ed anima) sono coincidenti.


Seguire la via in questo senso è relativamente semplice perché mancando le “distrazioni” (dovute ad incapacità o ad una non corretta intepretazione del proprio compito) si agisce in linea con il flusso che anima la manifestazione in quanto l'anima ne fa parte.
Animare la manifestazione è darle consistenza. Tutto ciò che c'è in qualche modo è animato da una spinta interiore che può essere più o meno chiara a seconda di come ci si pone nei confronti dell'esperienza che si conduce ed i base a chi ci si crede di essere.


L'uomo, nascendo uomo, è tale fino a che non si rende conto che è anche anima se lo diventa. Se ha la coerenza e la capacità (una volta concepito che dentro di sé c'è chi non muore) di sapersi identificare in chi programma la via per far sì che avvenga proprio ciò; lasciando però liberi di sbagliare. Liberi di seguire ciò che si vuole perché così si concepisce.


La vita umana, unica per l'uomo, è relativa per l'anima in quanto rappresenta una possibilità per sperimentare ciò che è nel suo intento perseguire. Nel senso che, date determinate condizioni di base che rappresentano il potenziale e l'ambiente in cui agire, l'uomo che si ritrova ad operare in tale contesto ha a disposizione quella vita per perseguire il fine che l'anima ha preimpostato lasciando le redini in mano all'uomo stesso.
Quando capita che l'uomo riesce ad identificarsi nell'anima (visto che nella sostanza questo è il senso ed il fine di ogni incarnazione, e cioè fondersi con la propria anima) avviene una rinascita in Terra ed il programma cambia. Raggiunto l'obiettivo c'è da perseguire un compito ben preciso perché a questo punto non c'è più l'uomo che cerca se stesso (e quindi l'anima), ma l'anima stessa che si ritrova a potere agire direttamente nella manifestazione (e senza aver forzato la volontà dell'uomo); per dare una impronta tangibile di come è possibile essere in linea con dei piani che segnano ed indirizzano il cammino evolutivo perché lo impostano verso ben precise direzioni. Il tutto nel rispetto della libertà dimensionale; e personale nei confronti dell'uomo che si reincarna in Terra nella sua anima perché lui uomo lo vuole.


Credere che dopo la morte fisica la vita continui come soggettività che si esprime in altri mondi vuol dire non tenere conto della reale consistenza dell'anima e di quanto sia effimero il piano che per qualche tempo fa da habitat alle coscienze che lasciato il corpo a causa della morte devono concepire che lo scopo è (anche lì) l'identificazione nell'anima, e non un ritorno esperienziale come altra vita; anche perché non sono nella capacità di preimpostarlo. Quando così sembra (e cioè quando si crede che ad una incarnazione ne segua un altra perché così decide “l'entità” che è trapassata in tale condizione) è solo perché l'anima lo permette; imposta così la futura incarnazione fornendola di mezzi adeguati.
Del resto credere di essersi incarnati per propria volontà (e non averne conferma visto che non c'è alcun ricordo) è solo una ipotesi non ancora suffragata da alcuna prova.
E anche se può sembrare che tali prove non esistono nemmeno a dimostrazione che sia l'anima a muovere i fili, basta identificarvisi per averne dimostrazione.