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Gradi, gradini e profondità

27 aprile 2005

 

 

I gradi della trascendenza, i gradini della conoscenza, le profondità del cielo sono temi da trattare contemporaneamente se ci si vuole addentrare nel merito dell’immortalità.

 

Morte e resurrezione sono certezza ed aspirazione legate ad un percorso che vede l’uomo alla ricerca di sé ponendolo su un cammino di speranza legato alla sofferenza.

Morte e resurrezione sono anche il tramite attraverso cui collegarsi a dimensioni più profonde della vita.

Morte e resurrezione sono il ponte che conduce all’immortalità.

 

Quando si considera l’immortalità come realtà tangibile ed immediata, la coscienza si sposta su un gradino diverso della conoscenza. Affronta la trascendenza in modo diverso e di fatto perfora una parte del cielo fisico, ma anche psichico, che le consente di vedere meglio l’oltre. Oltre che più lo si coglie dentro meglio lascia vedere fuori.

 

Scoprire che dentro di sé esistono profondità raggiungibili, connesse ed interconnesse con l’universo nella sua profondità sostanziale e non quella apparente, sviluppa nella coscienza la fiducia necessaria a volersi esaminare meglio e di più.

Meglio e di più che dallo stato egoico (io voglio) fa entrare in ciò che realmente si è (io sono). Cosa questa che si attua soltanto se si tolgono le barriere erette a difesa della propria individualità.

 

Ė un passaggio sottile che avviene nella profondità del proprio essere (diversamente non è possibile) dove si scopre che da sempre si è interconnessi con ciò che non si vede né si concepisce proprio a causa della schermatura eretta che fa da velo e non consente di prendere ed apprendere.

Prendere da dentro per apprendere da fuori (considerando sempre il fuori come facente parte della totalità in quanto piano coscenziale non soggetto alla dualità e dove pertanto dentro e fuori sono solo termini figurativi e descrittivi).

 

Collocarsi al centro di sé, dove veramente la visione cambia perché diventa omnicomprensiva della realtà, è una necessità da verificare perché solo vivendola ci si può addentrare in ciò che viceversa è solo un aspetto mentale ed interpretativo (mentale di una mente che elabora su ciò che sa e che non è in grado di percepire quel che arriva tramite la via del cuore).

 

La via del cuore, realtà questa che coinvolge l’essere e non ciò che si crede di essere, è parto interiore di conoscenza legato e connesso alla profondità di sé; quindi senza maestri esteriori ed apparenti pronti a guidare, e senza le interferenze di ciò che, legato alla credenza, lascia nel dubbio perché non verificabile personalmente.

 

La via del cuore è guida reale e tangibilmente vera perché, verificabile da sé ed appartenente a se stessi senza possibilità di equivoci, apre al cammino di resurrezione nella carne. Cosa questa che non può essere un processo mentale ma realtà da constatare.

Le considerazioni distolgono, spesso ingannano e molto facilmente illudono; le constatazioni sono realtà da esaminare confrontandosi (in questo caso) con se stessi.

 

La via del cuore è quella che fa crescere in consapevolezza aprendo direttamente la porta del cielo interiore. Cielo interfacciato con tutto ciò che di esterno si intuisce ma di cui non si ha certezza perché ancora non sperimentato.

 

Prendere per apprendere è regola cui non si può derogare.

Lo studio della natura insegna. Si cresce in funzione di ciò che si osserva, ma chi osserva è sempre l’interiorità, guida che guida verso il sempre più profondo.

Nella profondità di sé risiede la legge eterna ed immutabile che a guisa di grande madre allatta e nutre chi ha sete di conoscenza. Conoscenza che prendendo coscienza ha necessità di un corpo per esprimersi; corpo che non necessariamente deve essere equiparato o corrispondere al corpo fisico sperimentato e conosciuto nella realtà fisica e terrestre.

 

I corpi della vita si manifestano in funzione della conoscenza che si ha della vita stessa e più questa è espressiva di profondità, tanto meno necessitano della rigidità che impedisce trasformazioni immediate.

 

Si concepisce in funzione di ciò di cui si ha certezza e la certezza del corpo fisico impedisce di crescere a livello sottile sperimentando la vita su pini diversi della conoscenza.

Ma si può concepire anche in funzione di ciò che si crede se si ha il coraggio di sperimentare il concetto anziché lasciarlo nell’ambito delle possibilità.

Sperimentare la via del cuore diventa un obbligo quando si intende conseguire la certezza di ciò che la conoscenza elargisce proprio perché venga vissuto.

 

Sperimentare l’immortalità è aprirsi alla profondità della vita, cielo questo dove non è possibile risiedere a livello fisico e nemmeno psichico ma soltanto perché in possesso di requisiti maturati in funzione di metamorfosi e trasformazioni sperimentati personalmente che, sole, offrono la certezza di ciò che si è a livelli in cui la vita crea vita autoalimentandosi da sé con coscienza e capacità.

 

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