Questioni fondamentali

1 gennaio 2006

Questioni fondamentali quali la morte e la divinità vanno affrontate (rivendendole in modo sostanziale senza limitarsi ad accettarne l’immanenza) perché non è possibile rivalutare la vita lasciandosi alle spalle enigmi irrisolti.

 

La vita si sviluppa su basi concrete e queste formano la struttura portante sulla quale costruire.

Oggi per l’umanità queste basi sono morte e divinità; divinità vista e vissuta in funzione di una morte inevitabile; divinità dunque che non può che costituire l’agognato rifugio cui ricorrere per sperare che la vita non si esaurisca nella morte fisica.

 

Rivedere il concetto divinità non vuol dire metterne in dubbio l’esistenza, bensì non limitarne la consistenza.

 

Se una persona si nutrisse unicamente di ciò che solo un unico albero offre e senza il quale questa persona non sopravvivrebbe, è evidente che tale albero assumerebbe un significato molto particolare; andrebbe curato, amato ed addirittura implorato se per qualche motivo i suoi frutti dovessero tardare a comparire.

Se però la stessa persona dovesse accorgersi che può fare a meno di mangiare i frutti dell’albero riuscendo a vivere egualmente magari solo attraverso l’aria che respira, ecco che allora cesserebbe di divinizzare l’albero e vedrebbe l’aria come strumento indispensabile alla vita. Strumento con una sua provenienza che gli deriva da chi ne è l’autore.

 

È cambiata l’ottica.

Pur essendo vero che anche l’albero (se la persona si interroga) deve pur dipendere da qualcosa che lo ha generato, essendo qualcosa di tangibile e ben definito offre meno spunti per la riflessione e l’introspezione. L’aria invece, elemento non ben definito ed impalpabile, spinge a chiedersi da dove arriva e chi è questo autore capace di distribuirla a tutto e tutti in modo equo ed a seconda del bisogno che ogni cosa ha per sfamarsi di tale elemento.

Ma cambiando l’ottica muta anche il concetto di divinità. Pur dovendo sempre ammettere la dipendenza verso la stessa per vivere, la divinità assume un significato più profondo perché più profonda è la capacità che l’uomo acquisisce nei confronti della vita e della sopravvivenza.

 

Infatti, divenendo l’uomo capace di generare aria per vivere, quella che prima era elargizione divina indispensabile diventa solo utile. La divinità perde valore sotto questo punto di vista ma ne acquisisce in sostanzialità perché è evidente che ad una coscienza che matura traendo consapevolezza dai sui interrogativi (i perché della vita) non può sfuggire il perché della vita stessa e da cosa questa dipenda.

Da qui la conseguente riflessione sulla morte intesa come fine o sulla possibilità che la vita continui in altro stato; domanda legittima per una coscienza che si proietta sempre più verso il sottile e per conseguenza verso la profondità del suo stesso essere. Legittimità che dipende da dove arrivano le risposte a tali domande; perché sempre più si inizia a concepire un mondo interiore che trasmette consapevolezza a chi sa trarne benefici restando in ascolto.

 

L’ascolto della propria interiorità apre una porta direttamente collegata con l’oltre; con quell’aldilà sfuggente che prima sembrava essere addirittura la divinità stessa.

 

Morte e divinità iniziano ad apparire mete realizzabili perché, concependo l’uomo di essere immortale dentro, inizia a convincersi che la morte nella carne è un passaggio di stato, un passaggio di condizione.

 

L’immanenza che avvolgeva la divinità comincia a perdere consistenza; si sciolgono nodi che velavano la coscienza e l’uomo comincia a spostarsi (da vivo ed in Terra) su un piano di coscienza che lo pone nella condizione di essere contemporaneamente vivo nella carne ed oltre; vivo come uomo che opera sulla Terra e vivo nella condizione dell’essere immortale che non muore una volta esaurito il compito terreno.

 

Ed anche la trascendenza perde valore e finanche significato perché non c’è bisogno di trascendere nulla per rivolgersi a se stessi, una volta assodato che è sempre l’uomo l’essere che continua a vivere dopo la morte fisica; uomo che vive nella dimensione dell’immortalità.

 

Ma il passaggio/superamento della morte (per chi lo compie perché acquisisce tale capacità traendola dalla sua stessa interiorità profonda) non estingue l’esistenza della divinità, la rende anzi fondamentale a livello universale; evitando di confondere Terra con universo.

 

Il fatto di raggiungere delle mete, in questo caso il superamento della condizione relativa terrena (con conseguente morte) a favore di una condizione dove l’immortalità è dato certo perché la si sperimenta già da vivi sulla Terra, non estingue però la dipendenza dalla divinità.

Sotto profili diversi inizia ad apparire una capacità così grande di regolare mondi e dimensioni che per forza deve essere al di sopra della stessa immortalità perché si entra nel concetto/concezione della vita intesa come origine e non come animazione.

 

Un po’ come dire spirito ed anima, ma con risvolti sostanzialmente diversi dove l’anima può ben dissolversi nello spirito se acquisisce la capacità della vita e non soltanto quella della animazione.

 

Ecco, oggi l’uomo può entrare nel regno animico; superando l’eterico perché lo può inglobare in sé. Inglobare in consapevolezza avendo coscienza che oltre ad essere immortale può animare l’energia; non in virtù del suo piacere di uomo ma nella volontà (che però è anche la sua poiché coincidente) della azione che prevede la datività come requisito dell’anima.

 

Spirito è un’altra cosa.

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