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Un ciclo

5 settembre 2004

Karma e fini religiosi tracciano un confine entro cui è possibile operare per verificare la vita da una prospettiva che deve tenere conto della morte, della rinascita e della resurrezione nella carne per completare un ciclo di esistenze.

Karma e fini religiosi rappresentano la soglia da varcare per accedere all’ immortalità; per superare da uomini prove (il cui scopo è valutare se stessi alla luce di esperienze che aprono all’ultrasensibilità) che innalzano nello spirito facendo apparire tutta la caducità che al momento esprime la materia  (per come è vista e concepita).

Karma e fini religiosi sono una conseguenza di come si interpreta la vita; di come la si vive in funzione di ciò che si crede. E dove (in questo rapporto tra karma e religioni) si intrecciano interessi e credenze che quasi sempre affossano il pensiero portante di coloro che (con la loro opera) hanno aperto cammini iniziatici che ora possono sfociare in un’ascensione su larga scala.

Portarsi oltre questa sfera consente di non risentire degli influssi che karma e fini religiosi emanano tessendo una vera e propria struttura a sostegno della loro “solidità”.

Portarsi oltre rappresenta un passaggio: la presa di coscienza che tali limiti vanno abbandonati superandoli.

Se ciò può non sembrare facile o attuabile, dipende dalla propria centratura irrigidita su ciò che del sacro teme o spera; e dal fatto che l’inesorabile karma sempre propone prove per trovare equilibrio e pace.

Il compito del karma (e delle esperienze che comporta) è essenzialmente quello del risveglio in una nuova coscienza (stato di coscienza) che sia di apertura verso sfere più profonde dell’essere dove la morte non esiste e la divinità, ponte e speranza tra morte ed immortalità, non può più essere considerata in questo modo.

Va da se che per questo, e ben per questo, i fini religiosi (qualunque sia la loro collocazione e gli interessi in cui si sviluppano) perdono effetto e vitalità non essendo più di sostegno a chi, oltre la sponda, ha ormai appurato di essere vivo oltre morte ed aldilà.

Certo, anche oltre l’aldilà. Perché questa fascia (così chiamata in modo convenzionale) appartiene a chi (ritrovandovisi vivo dopo la morte fisica) non ha ancora compreso la sua immortalità e, anziché proiettarsi oltre prendendo coscienza dei mondi stellari, guarda alla Terra come riferimento per un possibile futuro ritorno. Perché la vita gli appare in funzione del corpo fisico. In funzione di un nuovo futuro corpo fisico per potersi esprimere, pur avendo già un corpo diverso, un corpo la cui forma è connaturale all’ambiente energetico in cui risiede e vive.

In questo ambiente l’operatività ha come aspetto principale il riesame del proprio essere terreno.

L’uomo (morto ma vivo in questo “aldilà” e in funzione di ciò che è stato in Terra) rivive ed elabora (gradualmente) il suo pensiero per meglio definire temi (già trattati) o innovazioni da proporre sulla Terra (tramite se stesso in funzione di una nuova incarnazione, o fornendo indicazioni a chi, in ascolto, è capace di trarne giovamento).

Questa fascia quindi è una vera e propria fucina di preparazione del nuovo in funzione del vecchio già vissuto. Ma non va oltre. Non riesce perché non vede l’oltre, pur non avendo più occhi fisici (che limitano la visione al modo in cui è strutturato il corpo fisico).

È una questione di consapevolezza. E di conoscenza, perché ciò che non si conosce resta invisibile anche a chi non ha più il corpo fisico ma nulla ha fatto per andare incontro all’immortalità (condizione di quinta dimensione).

Karma e fini religiosi servono a reiterare situazioni atte al risveglio dell’anima verso la sua vera condizione, quella immortale che raggiunge solo portandosi oltre la fascia energetica che la quarta dimensione (aldilà compreso) esprime e giustifica. Portandosi oltre assorbendo questa dimensione. Per unificare nella quinta ciò che la carne (materia) esprime e lo “spirito” promette.

La presa di coscienza che il regno dei morti è già dentro l’uomo e che egli ha la necessità di doverlo fare suo senza dover morire, porta gradualmente a ridosso della quinta dimensione. Fino a raggiungerla e a stabilizzarvisi.

 

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