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Esaminare il nuovo

20 gennaio 2005

 

La certezza che un mondo nuovo appaia o la speranza in un mondo migliore sono temi che riguardano la coscienza. E pur tuttavia non possono essere considerati senza l’ausilio della ragione. Perché pur essendo vero che la coscienza, oltre che ad aspettative, ha capacità di penetrazione in reami paralleli da dove attinge a piene mani, è pur ovvio che poi tutto passa al vaglio della ragione. Della ragione e della conoscenza su cui la ragione si basa. Ragione quindi che può agire solo entro certi limiti: i limiti della sue capacità.

 

Quando un concetto non ha ancora fatto presa sulla coscienza, e poco importa se per altri può essere un dato assodato, la coscienza cerca di esaminarlo attraverso la ragione; e quindi in funzione della sua conoscenza limitata alla azione che le ha fin lì permesso di essere tale.

 

Un concetto non recepito è paglia al sole; rischia di dissolversi se nessuno ne fa uso.

Un concetto innovativo incontra sempre mille ostacoli. Oltre a doversi affermare deve anche lottare contro chi, credendolo pericoloso, lo boicotta e maltratta perché è più comodo restare in radicate certezza. Radicate al punto di non prendersi nemmeno la briga di esaminare il nuovo per poi magari rifiutarlo.

 

Il pregiudizio è una cosa, la paura un’altra. Spesso la paura di perdere, o solo di mettere in discussione le proprie certezze si maschera anche agli occhi stessi di chi dovrebbe esaminare qualcosa ed invece si rifiuta traendo spunto dalle sue capacità che gli offrono certezze inconfutabili.

 

La certezza della morte fisica è così radicata come concetto che solo il volere esaminare una possibile alternativa diventa un tabù. È terreno esclusivo per religioni e chi affronta il tema in proprio deve scontrarsi più che con la sua coscienza con la ragione; ragione che non accetta il nuovo perché radicata su quanto sa consolidato a livello collettivo.

 

La coscienza comunque un primo passo lo fa perché già il volere affrontare il tema sia pure a livello informale sta a significare che qualcosa la ha spinta. Che ha attinto qualcosa da qualche parte ed in modo diverso rispetto a ciò che la logica ragionata suggerirebbe o imporrebbe.

 

La sopravvivenza alla morte fisica è l’altra faccia di un’unica medaglia: la vita. Ma sopravvivenza alla morte fisica significa immortalità. E caso mai bisogna stabilire chi è immortale.

Sicuramente non l’uomo perché è evidente che una nascita ha come conseguenza una morte ed è solo questione di tempo.

Del resto questo l’uomo lo constata in ogni momento. E non solo su se stesso ma su tutto ciò che osserva. Anche se osservando si rende conto che c’è una alternativa: la trasformazione. Trasformazione che avviene in modo involontario nel senso che ciò che prima costituiva qualcosa diventa qualcosa d’altro; un ritorno agli elementi che in fondo hanno anche permesso alla talcosa di diventare ciò che è stata.

 

Questa trasformazione, osservata meglio, fa anche considerare che è possibile agire sugli elementi per modificare il formarsi di qualcosa che, in base a ciò, diventa un po’ diversa da come avrebbe potuto o dovuto essere. L’intervento attraverso una volontà cosciente consente di interagire con elementi che, se nessuno lo avesse fatto, avrebbero continuato nel loro ciclo in modo definito naturale.

La morte è una conseguenza naturale alla nascita, ma morire implica anche considerare chi è nato; quali sono gli elementi che hanno contribuito alla affermazione di un ciclo naturale che è la vita sulla Terra.

 

La componente fisica è ovvia, molto meno lo è la trasmissione del soffio vitale; quel che consente ad un uomo di essere tale per poter vivere e morire. E visto che non c’è spiegazione bisogna ricorrere ad un atro piano. Bisogna ricorrere ad una ipotesi. Bisogna ipotizzare un piano, in aggiunta a quello fisico, dove l’energia si veste di panni mortali per diventare un corpo, un uomo.

 

Se così non fosse, se non si dovesse ricorrere a tale energia, ben difficilmente i conti potrebbero tornare e l’uomo dovrebbe essere capace di non morire; perché capace del suo soffio vitale, quella animazione che consente di essere uomo con coscienza e ragione.

 

Essere possessori del proprio soffio vitale è attualmente un’utopia e l’uomo continua a morire. E non tanto perché questo possesso dovrebbe permettere di non morire in Terra, ma di essere già vivi proprio nel piano in cui tale energia trae origine.

Essere vivi in tale piano comporta necessariamente l’apparizione di un nuovo mondo con conseguente partecipazione alle attività connesse.

 

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