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Provvidenza

13 luglio 2004

Nella scala dei valori la provvidenza occupa un posto di prim’ordine. Infatti accorre e sorregge quanti, in virtù del loro operato, sono meritevoli di protezione.

Trovare in questo delle contestazioni sulla giustizia senza tener conto dei perchè ciò avviene significa non aver capito che l’amore va elargito con saggezza e la provvidenza ne è per certi versi sinonimo.  

Il troppo amore può anche far star male ed allora è meglio esser saggi quando si è nella condizione di amministrarlo sotto forma di favori o ricompense verso chi, nel bisogno, ha necessità d’esser sorretto per continuare la sua opera.

Elargire che non significa quindi regalare, bensì mettere nella condizione di poter continuare l’opera per il conseguimento di precisi obiettivi attinenti ad un ben più vasto interesse rispetto a quello prettamente personale.

Quando nel bisogno c’è chi chiede, non sempre è opportuno dare; ciò che conta è far capire il perché una tal cosa avviene a turbare un’armonia, o a sprofondare in meandri ancora più tetri se la lezione da apprendere lo richiede.

Perché di lezioni si tratta e come sempre c’è chi deve apprendere e chi fa da insegnante; fermo restando che l’insegnante apprende dalla lezione stessa perché affina se stesso in funzione di ciò che gli altri traggono dal suo operato.

Diventare insegnante di saggezza presuppone averne acquisito l’essenza per manifestarne la sintesi. E questo non è semplice.

Causa prima è l’emotività. Quell’ansia che coglie quando l’esito appare incerto o la compassione spinge ad aiutare tutti non tenendo conto che il singolo, per crescere, ha necessità di comprendere che la vita è proprio una lezione continua; per migliorarsi al punto di non avere più necessità di quel tipo di studio e che si può passare ad altro. Per apprendere a dare nel giusto modo ciò che la vita stessa ha concesso e permesso di prendere attraverso la provvidenza che, accompagnando, ha fatto sì che ci si ritrovasse nella condizione ideale per fare il passaggio qualitativo.

Passaggio qualitativo perché si diventa, con coscienza e capacità, il sunto e quindi la sintesi di ciò che prima era necessario apprendere.

Si doveva apprendere che non si muore. E, vista la difficoltà della lezione, il tutto non poteva esaurirsi in una vita soltanto.  

Ecco che allora un ciclo di vite, se correttamente considerato, presenta quegli spunti che fanno comprendere il perché e la giustezza del karma; e come la provvidenza possa essere considerata l’interfaccia del karma stesso che in automatico livella i bisogni in funzione di quel che diventa una contropartita.

Giustezza del karma difficile da comprendere e “mandar giù” considerando soltanto una singola esistenza; giustezza esercitata da vari maestri se si colgono, e non è semplice, gli intrecci che regolano le trame che la vita tesse a livello di insiemi. E per la Terra l’umanità è un insieme. Un insieme che deve capire una certa lezione che la vita dà come insegnamento generale che il singolo deve apprendere: l’immortalità.

Che non si muore, per tanti è un’aspettativa ed una speranza.

Una semplice enorme speranza riposta in un luogo così lontano da rappresentare la ricompensa ad ogni sofferenza, se si va a considerare che la vita possa non esaurirsi con la morte fisica.

Questo luogo, questo aldilà è ciò che collega l’uomo alla sua continuità legata e compressa con quella dei suoi simili e della Terra stessa.

L’aldilà dell’uomo non è comunque l’oltre dell’immortalità.

Anche perché quando l’uomo muore, senza aver conquistato nella carne la sua resurrezione, è ancora costretto a dover provare fino a far sua la sintesi della esperienza che gli dà la certezza che così è.  

La vita nell’immortalità è tutt’altra cosa.

Non è la sopravvivenza eterica che corona le aspettative di un uomo che crede di poter continuare a vivere oltre il suo stesso corpo; oltre quella morte ineluttabile che lo attanaglia per mettere fine alla sua esistenza definita vita.

È vita nella piena consapevolezza di essere ed esistere per funzioni diverse dove il corpo, e quindi la forma, è relativo perché per uomo, se così lo si vuole ancora chiamare, bisogna considerare chi è capace di offrire agli altri il frutto di tutto il suo lavoro sapendo come fare.

E questo è importantissimo perché nell’economia generale possono esserci piccoli graduali passaggi che devono preservare gli insiemi modificandoli quel tanto che basta per il loro rinnovamento che non deve essere estinzione.

L’essere immortale diventa così, in automatico, insegnante nei confronti di chi può prendere dal suo agire e (diventa) parimenti allievo in una scuola dove deve esercitarsi a dare.

A dare ciò che è giusto e questo è il nuovo tipo di lezione che, proprio perché da apprendere, non consente di essere perfetti, ma solo in grado di permettere quei cambiamenti di assestamento che non stravolgono perché gli eventuali errori connessi (durante l’esercizio al nuovo ruolo) non sono in sé pericolosi perché chi si trova il tale (in questa) condizione deve necessariamente aver prima conseguito la sua pace interiore. La base vera dell’immortalità.

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